martedì 12 gennaio 2010

L'ACQUA E' DI TUTTI








Liberalizzare un mercato significa eliminare le barriere e i vincoli all’ingresso di nuovi operatori, sì da aumentarne la concorrenza. In un mercato libero ed in concorrenza perfetta, il prezzo eguaglia al più i costi di produzione totali (ivi compresi i costi per il rimborso del capitale investito in azienda e la remunerazione dell’imprenditore) e le aziende non sono in grado di realizzare extra-profitti nel senso “marxista” del termine: questa situazione è anche quella che massimizza il “benessere sociale”. Adesso, due considerazioni: la prima è che i mercati veramente liberi e in concorrenza perfetta esistono solo nella teoria; la seconda è che sia quella comunista che quella “mercatista” hanno lo stesso punto di approdo (la massimizzazione del benessere sociale) ma, in entrambi i casi, si tratta, appunto, di utopie, ovvero condizioni ideali cui tendere ma di fatto irrealizzabili. Nella realtà la situazione più frequente che si osserva sui mercati è infatti quella che vede la presenza di un numero limitato di operatori economici, a volte talmente limitato da rendere possibile che questi si accordino tra di loro per fare “cartello” (tipico il caso delle Compagnie Petrolifere o Assicurative) e vendere così i loro beni ad un prezzo maggiore di quello che otterrebbero in concorrenza: tale situazione è detta di Oligopolio. Infine, vi sono situazioni in cui esiste un unico operatore: è il caso dei Monopoli. Questa è la situazione di gran lunga più inefficiente per la società. Nel caso dei Monopoli, il consumatore paga la merce ad un prezzo molto più alto del costo di produzione totale. L’operatore è in grado di realizzare ingenti extra-profitti ed inoltre il livello di produzione è inferiore a quello che si avrebbe in concorrenza in quanto è interesse del Monopolista non soddisfare tutta la domanda: il benessere sociale diminuisce. Da quanto detto si comprende perché contrastare (o imporre, come nel caso della Moneta) situazioni di monopolio è stato, da sempre, il primo e principale obiettivo di intervento dello Stato nell’economia. Non tutti i Monopoli sono però uguali, ergo non tutti giustificano l’intervento diretto dello Stato. Il (quasi) monopolio di Microsoft (più volte multata dall’antitrust sia in Usa che in Europa) sui sistemi operativi per esempio, se da un lato ha impedito la diffusione sul mercato di sistemi concorrenti di Windows, dall’altro ha favorito una diffusione dei pc senza precedenti, anche se poi (gli addetti ai lavori lo sanno) Windows non è (e non è mai stato) affatto il miglior sistema operativo sul mercato. Ma la Microsoft opera in un mercato in cui il bene principale oggetto di scambio, cioè il software, non è una risorsa naturale, ma un prodotto delle capacità e dell’ingegno umano. Vi sono invece casi in cui il monopolio non è dovuto alla superiorità tecnologica o alla spregiudicatezza di un produttore su tutti gli altri, ma alla scarsità del bene. Tali Monopoli sono detti “Monopoli Naturali”: tipici esempi sono il mercato dei Diamanti (il cui 70% a livello mondiale è controllato dall’Olandese Dee Beers) e quello…dell’Acqua. Ora: la ragione per cui un monopolio naturale è destinato a rimanere tale è nella scarsità (ed infungibilità) della risorsa gestita, che non consente la contemporanea presenza di più operatori sul mercato, pena il fallimento di entrambi. E’ tuttavia evidente che se il Monopolio sui diamanti danneggia i consumatori di pietre preziose, quello sull’acqua danneggia tutti e con effetti assolutamente non paragonabili. Conseguenza di ciò, è che gli Stati si siano preoccupati, da sempre, di gestire il monopolio naturale dell’acqua e non quello dei diamanti. Del resto, proprio la costruzione di reti idriche e fognare è, fin da tempi remoti, il segno più tangibile della civiltà e del progresso di un popolo: è per l’Acquedotto e non per il Colosseo che Roma è stata la più grande Civiltà dell’Antichità. Tutti d’accordo quindi sul fatto che l’Acqua non solo sia un Bene Pubblico (cioè di tutti, ovvero di inalienabile proprietà demaniale), ma debba anche essere gestita dallo Stato, in quanto Monopolio Naturale che, se gestito in ottica di profitto, procurerebbe svantaggi per tutti e profitti per pochi? Macchè. Con uno degli ennesimi “passi di gambero” che la nostra società negli ultimi tempi sta compiendo, sospinta dal furore degli ultrà del “libero mercato”, (che sono forse ancora più pericolosi degli ultrà comunisti), è avanzata l’idea (ideologia?) che “privato = efficienza”, anche se i 35miliardi di euro di debiti accumulati da Telecom nella gestione privata, oltre che i recenti disastri finanziari, dovrebbero illuminare tutti sulla totale infondatezza di tale equazione. E così lunedì 23 Novembre u.s, con 302 voti favorevoli, 263 contrari e nessun astenuto, la Camera ha approvato a maggioranza (con voto di fiducia) il Decreto Legge salva- infrazioni per l'attuazione di obblighi comunitari (c.d. “Decreto Ronchi”). Il provvedimento contiene, fra le altre, la riforma dei servizi pubblici locali, tra cui la gestione dell'acqua e la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti. «L'acqua è un bene pubblico» e il «decreto non ne prevede la privatizzazione», ha detto il Ministro per le Politiche Comunitarie, Andrea Ronchi. «Nel provvedimento - ha aggiunto Ronchi - viene rafforzata la concezione che l'acqua è un bene pubblico, indispensabile. Si vogliono combattere i monopoli, le distorsioni, le inefficienze con l'obiettivo di garantire ai cittadini una qualità migliore e prezzi minori». Per l'Antitrust, invece, il provvedimento sulla “liberalizzazione” dei servizi pubblici essenziali contenuto nel decreto Ronchi è «un buon provvedimento perché dà luogo a una liberalizzazione da tanto tempo da noi auspicata. L'acqua rimane un bene pubblico ma il servizio finalmente viene liberalizzato», grazie al meccanismo delle gare. Per Antonio Catricalà (Presidente dell’antitrust) il provvedimento «non significa che necessariamente si avrà una privatizzazione, ma si apre ai privati la possibilità di entrare nell'esercizio di questo servizio pubblico essenziale». Domanda: ma affidare la gestione degli Acquedotti ai privati significa “liberalizzare”? Alla luce di quanto su detto il lettore sa che la risposta è no: il Monopolio dell’acqua, essendo un Monopolio Naturale, è praticamente ineliminabile. E’ quindi molto più rispettoso sia della verità che del significato proprio di termini e parole, dire che il Decreto Ronchi “privatizza”, cioè affida ai privati la gestione di Aziende Monopoliste finora di proprietà pubblica e non “liberalizza”, perché non avremo due o più società che forniscono acqua, ma una ed una soltanto (proprio come ora) con la differenza che a gestire tali società saranno i privati. Il rischio insomma è che l’Acquedotto Pugliese (che con i suoi 18.000km di rete è l’Opera Pubblica più grande d’Europa), s.p.a. ora controllata della Regione Puglia, passi in mani private, con prevedibili conseguenze sulle nostre bollette. ''La Regione Puglia ricorrerà alla Consulta contro questa legge - ribadisce il Governatore della Puglia Nichi Vendola - e metterà a punto un disegno di legge che tuteli il carattere pubblico della proprietà e della gestione delle risorse idriche. L'acqua e' e deve restare un bene comune, non un prodotto per fare business. I responsabili di questo crimine dovranno risponderne all'Opinione Pubblica e a Dio''. “E’ una riforma voluta dall’Europa”, ribattono in molti. Ma se si va a guardare in Europa e altrove, si scopre una realtà ben diversa. In Francia ad esempio, dal 1° gennaio 2010 Parigi tornerà ad una gestione idrica pubblica. Il sindaco Bertrand Delanoë ha deciso di non rinnovare i contratti alle multinazionali francesi Veolia e Suez, dopo 25 anni di gestione in cui l’unico risultato è stato un aumento dei prezzi che non ha portato miglioramenti nel servizio. Grazie alla ri-municipalizzazione, il Comune di Parigi potrà risparmiare 30 milioni di euro l’anno. Dopo Parigi tante altre città francesi stanno prendendo in considerazione l’opportunità di ritornare alla gestione pubblica. Per quanto riguarda la situazione negli Stati Uniti invece, Report, programma di Rai3, ha mostrato come in America l’acqua sia tradizionalmente pubblica ed è sempre stata amministrata dallo Stato. Dovunque, tranne che nel New Jersey. Ma la “privatizzazione – afferma May Fiil Flynn, del Public Citizen Washington – non ha avuto grande successo in questo Paese. Abbiamo anche avuto brutte esperienze con queste compagnie private arrivate con le loro grandi promesse che poi non sono state in grado di mantenere”. Un esempio? “Avevano promesso di abbassare i prezzi e invece i prezzi salivano”. E se negli USA, Paese dove hanno leggi severe su conflitti d’interesse, concorrenza e le regole del mercato (e non solo…) le rispettano (quasi) tutti, non si affidano ai privati per la gestione dell’Acqua, che motivo abbiamo di farlo, ora, proprio noi Italiani?




Antonio Aghilar (Economista)

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